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Torino e Roma inaccessibili ai disabili: condannate

Prima Torino, poi Roma. Due tra le più grandi e importanti città italiane, entrambe condannate dal Tar in quanto non accessibili ai disabili. Arriva dalle aule dei tribunali il verdetto unanime: nel nostro Paese quello dell’accessibilità urbana è un traguardo ancora lontanissimo.
Esempio di un luogo pubblico inaccessibile
Cominciamo dalla Capitale, per parlare del caso del 14enne Pietro, costretto in carrozzina dalla disabilità.

Insieme alla madre, all’inizio dell’anno, avrebbe voluto visitare gli studi di Cinecittà.

Peccato che il tentativo di prendere la metropolitana si sia rivelato un autentico incubo per il ragazzo. Servoscala ed ascensore sono risultati guasti e il personale ausiliario assente.roma-mezzi-pubblici-condanna-accessibilita La madre del ragazzo si è rivolta alla polizia, invano. Solo con l’aiuto del marito e a forza di braccia la donna è riuscita alla fine a sollevare la carrozzina di Pietro per riportarla in superficie.

Qualche mese dopo, nuovo tentativo (con tanto di riprese di una troupe di Rai3) e medesimo risultato. Inevitabili la denuncia (la famiglia di Pietro si è rivolta all’associazione Luca Coscioni) e la sentenza di condanna, arrivata in giugno.

Atac e Comune sono stati ritenuti responsabili di discriminazione nei confronti delle persone con disabilità ai sensi della legge 67/2006.

L’Atac – hanno scritto i giudici del Tar-  ha omesso sia di garantire “gli strumenti tecnici e il personale operativo per consentire il funzionamento degli impianti”, sia di fornire “un’informazione adeguata per assicurare all’utenza lo stato del servizio e della sua funzionalità“. Mentre il Comune ha “omesso il controllo e la vigilanza negli atti concreti delle società partecipate“.

Alla famiglia di Pietro è stato riconosciuto un risarcimento pari a 2.500 euro per i danni morali subiti.

Se Roma piange (o meglio, piange chi convive ogni giorno con problemi di mobilità ridotta), Torino non ride. condanna-accessibilita-mezzi pubblici-torinoIl Tar ha giudicato inadempienti il Comune e l’azienda di trasporto pubblico rispetto agli obblighi fissati dalla legge 104/92, che fissa il dovere di eliminare le barriere architettoniche e di programmare “interventi atti a consentire alle persone disabili di muoversi liberamente sul territorio usufruendo, alle stesse condizioni degli altri cittadini, dei servizi di trasporto collettivo appositamente adattati o di servizi alternativi“. 

Nello specifico, si è trattato della tappa finale di una lunga diatriba risalente al 2012 tra l’amministrazione e un gruppo di associazioni tra cui la Uildm, il Cepim e la Consulta delle persone in difficoltà.

Queste associazioni lamentavano lo stato dei trasporti pubblici della città della Mole, lontanissimo dagli standard minimi per venire incontro alle esigenze (e soddisfare i diritti) delle persone con disabilità. 

Casus belli era stato in particolare la compartecipazione dei portatori di handicap ai costi dei buoni taxi, fino ad allora distribuiti gratis dal Comune. Per consentire alle persone con disabilità motorie e sensoriali di recarsi sul posto di lavoro o a una visita medica. Per l’amministrazione l’alternativa dovevano essere i mezzi pubblici, sull’accessibilità dei quali le associazioni avevano diffuso però dati sconfortanti.

Due grandi città, uno stesso problema. Il non essere “a misura di disabile”. Con tanto di sentenza a certificarlo.

Succede in Italia. Ancora.

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